Jean-Paul Galibert, Siete usa e getta? Recensione a Bertrand Ogilvie, L’homme jetable
Pubblicato: 5 ottobre 2012 | Autore: Gabriella Giudici |
Traduco la recensione di Jean-Paul Galibert al libro di Bertrand Ogilvie, L’homme jetable. Essai sur l’exterminisme et la violence extrème, Paris, Éditions Amsterdam, 2012, prefazione di Étienne Balibar [L’uomo usa e getta. Saggio sullo sterminismo e la violenza estrema]. Ogilvie illustra il passaggio dalla biopolica del far vivere e lasciar morire (Foucault) ad una bioeconomia del far vivere a morte e far morire in massa (si veda il Colloquio di Belgrado dal minuto 9:00 al 10:34). L’originale francese è in coda. Qui una sintesi (in francese) del saggio.
Après le «faire mourir et laisser vivre» qui serait la formule de la souverainété, et le «faire vivre et laisser mourir» qui Foucault forge comme la formule de la biopolitique, on serait dans l’hypothèse d’un «faire vivre à mort et d’un laisser mourir en masse» qui serait celle de la bioéconomie.
Bertrand Ogilvie
Stagisti, precari. Contratti a tempo determinato. Flessibilità. Licenziamenti. Disoccupati «in fin di diritti», persone in fin di vita. Tutti questi termini dicono a quale punto, in fondo, si ha ben poco bisogno di noi. Quale sorte ci attende?
Bertrand Ogilvie ci pone una questione tanto terribile quanto inevitabile: come siamo diventati rottamabili? Come concepire, nella storia della violenza, questa nuova relazione di potere e questo nuovo statuto che, al di là dello sfruttamento del nostro lavoro, ci destina in anticipo a una sorta di liquidazione programmata?
Sotto il duro e bel titolo de l‘homme jetable (a perdere, rottamabile, da gettare, NDR) Ogilvie raccoglie una serie organica di saggi, una serie di tappe del cammino per pensare questa violenza estrema che é divenuta oggi il quotidiano spettacolare e al tempo stesso meglio dissimulato nella sua ordinarietà.Tutto comincia con un incubo di Spinoza. Il filosofo della ragione vive in questo porto olandese in cui i battelli partono e tornano senza posa dal nuovo mondo, in un traffico laborioso e incessante che si chiamerà «scoperta», commercio triangolare, commercio degli schiavi, tratta degli schiavi, colonizzazione e, talvolta, di già, massacro cioè sterminio (Las Casas non parlava già da subito di «Distruzione delle Indie»?). Ogilvie ci ricorda il terribile motto di queste compagnie marittime: «navigare è necessario, non vivere». Spinoza vede tutto questo. Sa tutto questo. Quale patto oscuro si annoda con gli orrori di una guerra che non é nemmeno più una guerra e con un certo sonno della ragione? Per pensarlo non abbiamo che un sintomo, nel quale Ogilvie, da buon psicanalista, propone di vedere un ritorno del rimosso: Spinoza racconta l’incubo in cui un selvaggio gli é apparso come uscito dritto dal Brasile della propria colpevolezza.
E’ troppo facile, troppo riduttivo e infine troppo illusorio opporre la violenza all’ordine o al diritto come una particolarità che si opporrebbe all’universale, perché qui c’è una violenza propria dell’universale che non può affermarsi senza imporsi alle particolarità, al prezzo di una riduzione radicale, cioè di una sparizione della loro particolarità. Hegel ha presentito e presentato la tendenza alla distruzione come una dimensione costitutiva di ogni passaggio all’universale. Il sapere potrebbe essere lui stesso silenzio sulla sofferenza di ciò che riduce? Diviene dunque pensabile che sia nella rappresentazione, nella violenza stessa della rappresentazione che si produce l’uomo «rottamabile». Il momento hegeliano della dialettica di servo e padrone é contemporaneo dell’esplosione della società civile. La rivoluzione industriale in gestazione l’incrina in partenza, opponendo una minoranza il cui capitale diviene considerevole e una moltitudine votata al denudamento, il volgo. Ogilvie basa su Lacan la propria rilettura di Hegel. La conoscenza di sé é un disconoscimento di sé che suppone nell’altro uno specchio ma non una persona, dunque una persona che non é persona. Se la società civile del capitalismo nascente riposa sul lasciar morire, la sua logica tacita é quella dello sterminio. Ciò che i nostri giornali chiamano oggi «violenza», non é spesso che una resistenza dei «particolari» a questo sterminio sordo, nascosto, troppo ordinario e quotidiano per restare visibile.
Il momento seguente é quello della Shoah. Ogilvie ricorda i dibattiti in corso, prende le necessarie precauzioni per un tema sensibile ed esemplare e propone di pensare la «soluzione finale» come un fantasma di purezza e d’autoesistenza che cercherebbe di sopprimere la propria condizione. In questa ipotesi, la scelta dell’ebreo come oggetto d’odio resta esemplare di un processo la cui logica delirante dovrebbe attaccare più l’operaio che l’omosessuale, per esempio. La pista della finitezza potrebbe esserne l’esito. L’opera si conclude con un crimine «senza destinatario», quello dormiente, latente delle mine «anti-uomo». La loro attesa indefinita potrebbe portarci a una nuova definizione della guerra, lontana dal combattimento e più vicina all’ordinario. Cinque saggi incisivi, talvolta allusivi, sempre suggestivi. Un libro da leggere per aprire gli occhi.
Nel video seguente Bertrand Ogilvie illustra il rischio permanente di un ritorno al fascismo attraverso la distruzione del lavoro e delle condizioni di lavoro che produce l’homme jetable al Colloquio internazionale De la terreur à l’extrème violence, tenutosi a Belgrado dall’8 al 10 dicembre 2011.
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que nous remercions pour cette traduction
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9 Commentaires
Gabriella Giudici 10 octobre 2012 à 12:32 (Modifier)
Je suis très honorée d’avoir inauguré cet espace
jean paul galibert 10 octobre 2012 à 12:42 (Modifier)
Merci à vous, au contraire!
amatzukami 13 octobre 2012 à 4:32 (Modifier)
grazie e ciao
amatzukami 14 octobre 2012 à 8:20 (Modifier)
Devo ringrazierVi, per la simpatia che avete riservato a quanto ho scritto.
Vi devo pur dire, calcolando le dilettantistiche argomentazioni con cui affronto il tema, che sarei e sono interessato, a qualsiasi consiglio, che mi potesse aiutare sulle questioni che affronto con tali convinzioni e, uscendo dal contesto, su indicazioni che insegnino il come avviare un progetto cinematografico.
[ Cos’è che avete trovato interessante in quanto ho scritto, per favore]
Grazie e ciao.
artandkitchen 18 octobre 2012 à 1:42 (Modifier)
Grazie mille per il tuo articolo e per i tuoi pensieri.
Purtroppo nel mondo non siamo che delle pedine, forse. Forse, nel microclima della gente che ci sta vicina troviamo della luce, degli spazi che ci lasciano sognare e che non ci tolgono la speranza.
amatzukami 22 octobre 2012 à 8:59 (Modifier)
Già. Se quanto leggo è una riflessione …..su cui posso esprimere una « parola »….Grazie e ciao!
maryps 21 janvier 2013 à 4:30 (Modifier)
Il servo della gleba (lavoratore) non serve più all’aristocratico moderno (manager)!
Questo è ormai appurato, ma i costi del suo sostentamento sono sempre più insopportabili alla grande aristocrazia postindustriale. a quando l’eliminazione diretta?
jean paul galibert 21 janvier 2013 à 5:19 (Modifier)
l’élimination directe est une idée du néant
et rien de bien ne vient du néant
maryps 22 janvier 2013 à 9:31 (Modifier)
E’ senz’altro vero quello che dici, ma il mio timore rimane ed è giustificato dalla storia dell’uomo.
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